I nuovi PIR strumento vincolato di funding per le PMI

Il 30 aprile è stato sottoscritto congiuntamente dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, un apposito decreto avente per oggetto i “nuovi” Piani Individuali di Risparmio a lungo termine (PIR), decreto previsto dalla legge di Bilancio 2019 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.105 del 7 maggio.

Il provvedimento è arrivato dopo mesi di dibattito ed era alquanto atteso sia dagli operatori del settore finanziario sia dai risparmiatori, visto il regime di esenzione fiscale dei relativi redditi che ad oggi caratterizza tale forma di investimento nel caso di possesso per almeno 5 anni.

L’articolo 2, comma 1, del decreto risulta ad oggi tra i più significativi. Viene stabilito che:

1) la quota del 70% del valore complessivo dei PIR costituiti a partire dal 1° gennaio 2019 debba essere investita in strumenti finanziari, anche non negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese residenti in Italia o in Stati UE o aderenti al SEE con stabili organizzazioni in Italia;

2) all’interno di questo 70%, occorre investire obbligatoriamente, per almeno 2/3 dell’anno:

  1. a) almeno il 5% (ossia il 3,5% del 70%) in strumenti finanziari, ammessi alle negoziazioni sui sistemi multilaterali di negoziazione (cioè AIM Italia per le azioni ed ExtraMot Pro per le obbligazioni), emessi da PMI ammissibili;
  2. b) per almeno il 5% (ossia il 3,5% del 70%) in quote o azioni di fondi per il venture capital residenti nel territorio dello Stato o Stati membri UE o aderenti al SEE.

Ma cosa si intende per “PMI ammissibili”?

L’art.1 della bozza di decreto si rifà alla definizione di PMI a livello comunitario e non a quella prevista dal TUF (per evitare il rischio di infrazione sugli aiuti di Stato). “PMI ammissibile” è pertanto una PMI che ha un fatturato inferiore a 50 milioni di Euro, un totale attivo di bilancio non superiore a 43 milioni di euro e meno di 250 persone occupate.

Inoltre, PMI ammissibile è una PMI che:

– non è quotata su un mercato regolamentato in Italia o all’estero (l’Aim quindi rientra nella definizione);

non ha ricevuto alla data del 1° gennaio 2019 risorse finanziarie per un ammontare complessivo superiore a 15 milioni di Euro a titolo di qualsiasi misura (IPO, aumento di capitale) per il finanziamento del rischio. Il decreto prevede che gli intermediari finanziari acquisiscano dalle PMI una apposita dichiarazione a riguardo, sottoscritta dal legale rappresentante. Il limite dei 15 milioni di euro per PMI è stato posto per rendere la normativa italiana allineata con le norme europee sugli aiuti al finanziamento del rischio delle PMI contenuti nell’art.21 del Regolamento della Commissione n.651 del 17.6.2014;

– soddisfa almeno una delle seguenti condizioni:

  1. non ha operato in alcun mercato (cioè non è mai passata sul Ftse Mib);
  2. opera in un mercato qualsiasi da meno di 7 anni dalla prima vendita commerciale; le start-up infatti impiegano tempo prima di arrivare a piazzare un servizio o un prodotto, quindi questi 7 anni partono non dalla nascita dall’azienda, bensì da quando comincia vendere;
  3. necessita di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50% del suo fatturato medio annuo negli ultimi 5 anni.

L’articolo 2, comma 1, del decreto evidenzia come ai fini del computo delle 2 quote del 3,5% del valore complessivo da destinare agli investimenti in strumenti emessi da PMI negoziati sull’AIM e agli investimenti in quote di fondi di venture capital, si considerano ammissibili gli investimenti in equity e quasi-equity.

Queste due tipologie di investimento rientrano tra quelle relative al finanziamento del rischio.

Per “investimento in equity” si intende un investimento nel capitale di rischio dell’impresa, anche attraverso strumenti finanziari partecipativi.

Per “investimento in quasi-equity” si intende un tipo di finanziamento che si colloca tra equity (un rischio più elevato del debito di primo rango) e debito obbligazionario (rischio inferiore rispetto al canale primario). Il rendimento di tale investimento si basa principalmente sui profitti o sulle perdite dell’impresa destinataria e non è garantito in caso di cattivo andamento dell’impresa. Può essere strutturato come debito, non garantito e subordinato, compreso il debito mezzanino e convertibile in equity o come capitale privilegiato. Si escludono quindi il private debt e il direct lending nelle loro forme di tradizionali.

L’industria del risparmio gestito si è espressa negativamente circa i nuovi vincoli di investimento previsti sui nuovi PIR, caratteristiche che – secondo diversi – ostacolano l’operatività e la liquidabilità necessaria per uno strumento quale il PIR destinato ai piccoli investitori. Il timore è che la normativa, così come concepita ora, porti a far sì che il mercato si fermi ai prodotti ad oggi presenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti, senza incentivare quelli di nuova generazione, obbligati ad investire in strumenti illiquidi, potenziali barriere all’uscita nel caso si intenda disinvestire e di difficile valutazione ai fini del calcolo del NAV.

Dall’altra parte, c’è chi vede nei nuovi PIR “vincolati” – pur con tutti i loro limiti – una valida alternativa in un sistema finanziario italiano eccessivamente bancocentrico, uno strumento in grado di far confluire investimenti diretti all’economia reale, AIM e venture capital in primis. La prima versione dei PIR per molti aspetti non ha infatti portato ai risultati sperati: ha investito quasi esclusivamente in società già quotate, portando cospicui introiti alle società di gestione ma creando potenziali bolle in Borsa e senza convogliare grandi risorse alle PMI non quotate.

C’è infine chi vede in un altro strumento, gli Eltif (European Long Term Investments), il potenziale anello di congiuntura tra risparmio dei piccoli investitori ed economia reale, trattandosi di fondi chiusi che hanno proprio come principale oggetto di investimento attività illiquide.

Ad ogni modo il Ministero dello Sviluppo Economico tra 6 mesi effettuerà un monitoraggio degli effetti prodotti dal decreto sull’entità della raccolta e sul numero delle negoziazioni, come spiegato dall’articolo 6 del decreto stesso, “al fine di valutare l’opportunità di interventi normativi ulteriori”.

Contributo a cura di  Marco Speca, NOVERIM

www.noverim.it

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